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Camminare sul  Sentiero.  Aspetti del sangha femminile di tradizione tibetana[1]

 di Carla Gianotti

Relazione presentata nell’ambito del Convegno IL BUDDHISMO IN PIEMONTE: ESPERIENZE E TESTIMONIANZE

Giaveno (To), 4 ottobre 2014

  

Il sangha buddhista e l’assemblea quadripartita

 Desidero innanzitutto fare una precisazione in merito al termine sangha, un termine che può assumere significati un poco differenti a seconda del contesto buddhista in cui viene impiegato.    

Sangha è voce della lingua pali e della lingua sanscrita, grammaticalmente maschile (e dunque il sangha  e non la sangha), il quale indica nel buddhismo antico la comunità dei devoti e delle devote, uno dei Tre Gioielli assieme al Buddha (il Maestro) e al Dharma (la Dottrina o l’Insegnamento). Successivamente, tale  termine verrà ad assumere anche altre valenze particolari: così nel buddhismo Vajrayana tibetano, nella recita della formula della Presa di Rifugio (tib. skyabs ‘sgro) nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha, la voce sangha vale a designare l’assemblea divina dei Buddha e dei Bodhisattva.

 Nel buddhismo antico e  nel buddhismo Theravada,  sangha indica, come si è detto,  la comunità dei devoti e delle devote che camminano sul Sentiero, una comunità che si presenta, secondo quanto riportano  i testi in pali  e sanscrito, quale assemblea quadripartita, composta da bhikkhu e bhikkhuni (monaci e monache pienamente ordinati, i quali  hanno ricevuto la ‘piena ordinazione’, pali upasamada, scr. upasampada), upasaka e upasika (laici e laiche).

L’attitudine equanime del Beato verso l’assemblea quadripartita, dove ogni gruppo di devoti e devote viene a godere di pari dignità e valore, si ritrova allo stesso modo  in alcuni testi (pali sutta, scr. sutra) del buddhismo antico, dei quali il più noto è forse il Mahaparinibbanasuttanta (<< Il grande discorso del nibbana definitivo>>)[2], contenuto nella sezione  Digha Nikaya(<<Raccolta dei Discorsi Lunghi>>) del Suttapitaka (<<Canestro dei Discorsi>>). Qui si legge di un’esplicita dichiarazione attribuita al Beato,  secondo cui questi avrebbe deciso di posporre l’ottenimento del Risveglio fino a quando l’assemblea quadripartita di tutti i suoi discepoli e discepole (bhikkhu e bhikkhuni, upasaka e upasika) non fossero divenuti ottimi discepoli versati nel Dhamma (scr. Dharma) sublime[3]. Ed ecco allora che Mara il maligno,  di fronte alle straordinarie qualità del sanghatutto, verrà a incalzare provocatoriamente il Beato  di tener fede alle dichiarazioni di un tempo, vale a dire di estinguersi entrando nel nibbana (scr. nirvana)definitivo.

Allora Mara  il maligno, poco tempo dopo che l’onorevole Ananda si era allontanato, si accostò al Sublime. Accostatosi sedé accanto. Accanto seduto Mara il maligno disse al Sublime così: <<Si estingua ora, o signore, il Sublime, si estingua il Benvenuto. Ora è tempo dell’estinzione del Sublime. Queste parole invero, o signore furono dette dal Sublime:

[…]

“Non certo, o maligno, io mi estinguerò se prima i monaci non saranno discepoli istruiti, ben esercitati, pronti, buoni conoscitori della Dottrina, saggi seguaci della Dottrina e seguaci di ciò che secondo la Dottrina è retto, viventi secondo la Dottrina; e non riferiranno esporranno, faranno noto, insegneranno, esamineranno, analizzeranno, renderanno chiaro l’insegnamento appreso dal loro maestro, e le sorte obiezioni, dalla Dottrina risolte, con la Dottrina risolveranno, ed infine non esporranno la meravigliosa Dottrina”.

[…]

Si estingua, o signore, il Sublime, si estingua il Benvenuto, è tempo ora dell’estinzione del Sublime.

“Non certo, o maligno, io mi estinguerò se prima le monache non saranno discepole istruite, ben esercitate, pronte, buone conoscitrici della Dottrina, sagge seguaci della Dottrina e seguaci di ciò che secondo la Dottrina è retto, viventi secondo la Dottrina; e non riferiranno esporranno, faranno noto, insegneranno, esamineranno, analizzeranno, renderanno chiaro l’insegnamento appreso dal loro maestro, e le sorte obiezioni, dalla Dottrina risolte, con la Dottrina risolveranno, ed infine non esporranno la meravigliosa Dottrina”.

[…]

Si estingua, o signore, il Sublime, si estingua il Benvenuto, è tempo ora dell’estinzione del Sublime.

“Non certo, o maligno, io mi estinguerò se prima gli upāsaka non saranno discepoli ben istruiti, ben esercitati, pronti, buoni conoscitori della Dottrina, saggi seguaci della Dottrina e seguaci di ciò che scondo la Dottrina è retto, viventi secondo la Dottrina.

[…]

“Non certo, o maligno, io mi estinguerò se prima le upāsikā non saranno discepole istruite, ben esercitate, pronte, buone conoscitrici della Dottrina, sagge seguaci della Dottrina e seguaci di ciò che secondo la Dottrina è retto, viventi secondo la Dottrina [4].

[…]

Nel passo sopra riportato, così come  negli  editti del re buddhista indiano Aśoka[5] e in alcuni testi  canonici del buddhismo antico, vengono dunque pienamente attestate sia l’esistenza delle quattro comunità di  monaci, monache, discepoli laici e discepole laiche cui viene rivolto l’insegnamento, sia l’attitudine equanime, amorevole e sollecita del Beato verso i quattro gruppi dei suoi discepoli e discepole, attitudine priva di un qualsiasi atteggiamento o affermazione di tipo discriminante[6].

 Il sangha comprende allora nel primo buddhismo un sangha  maschile, formato da bhikkhu e upasaka e un sangha femminile composto da bhikkhuni e upasika.

E anche il sangha buddhista, maschile e femminile,  di tradizione tibetana si presenta oggi – almeno formalmente e così come nel buddhismo delle origini – quale assemblea quadripartita, pur avendo  assunto, attraverso i secoli, una fisionomia peculiare sua propria.

 

Il sangha femminile oggi in Piemonte

 In Piemonte, così come del resto in gran parte delle regioni d’Italia, grazie alla devozione, all’impegno e alla buona energia di molti praticanti uomini e donne e di molti Maestri e Maestre di Dharma, sono sorti – a partire soprattutto dagli anni settanta del secolo scorso – alcuni centri di Dharma per la pratica e lo studio dei vari buddhismi ( Theravada, Mahayana, Vajrayana, Zen e così via), centri che continuano a esistere e a crescere pur tra molte difficoltà, sia economiche, sia talvolta anche relazionali. Quando noi esseri umani  facciamo qualche cosa insieme ad altri, veniamo, com’è consueto, a frizionarci l’ego, la ruvidità dell’ego gli uni con gli altri come ‘patate in un sacco’ che, sfregandosi tra di loro, si ripuliscono delle loro impurità egoiche (così è solito insegnare il Maestro Mario Thanavaro, citando il ven. Achaan Chah).

In particolare, nei centri di Dharma di tradizione tibetana – alcuni dei quali ho conosciuto negli anni per esperienza diretta – è stata attiva ed è attiva una forte componente di sangha femminile: noi donne siamo cioè impegnate in mansioni organizzative come quella di presidente di un centro, siamo  interpreti e/o traduttrici, donatrici e sponsor, siamo insegnanti laiche di Dharma, oppure spesso svolgiamo preziose mansioni di tutto-fare. Quello che ci è dato vedere da circa cinquant’anni a questa parte è dunque un impegno e una dedizione a trecentosessanta gradi delle donne buddhiste laiche, fatto questo che ha certo contribuito in maniera determinante al radicamento del giovane sangha buddhista in Piemonte e in Italia.

C’è tuttavia una grande assente tra i diversi ruoli rivestiti dal sangha femminile di tradizione tibetana, sia religioso che laico, presente in Italia e questa grande assente è il sangha monastico femminile pienamente ordinato. Nel sangha femminile religioso qui presente mancano cioè le bhikkhuni (scr. bhiksuni, tib. dge slong ma), dal momento che le religiose di tradizione tibetana che in Italia vestono l’abito monastico sono per lo più novizie di lignaggio Gelupa (tib. dGe lugs pa, lett. ‘Tradizione Virtuosa’, la stessa scuola cui appartiene Sua Santità il Dalai Lama), novizie le quali vivono o all’Istituto Lama Tsong Khapa di Pomaia (Pisa), oppure nelle loro case,  non condivendo ancora una condizione cenobitica di tipo stabile.

Vediamo allora qual è la ragione della attuale assenza delle bhikkhuni nei lignaggi di tradizione tibetana presente in Italia.

L’ordinazione completa delle bhikkhuni e i lignaggi del Vinaya

 Diciamo innanzitutto che non si tratta di un ‘caso’ italiano, dal momento che l’ordinazione completa delle bhikkhuni è oggi assente in molti Paesi  del mondo. Il progetto del suo ripristino è tema di grande portata nei vari buddhismi contemporanei, il quale  vede impegnati sia ven. bhikkhuni e ven. bhikkhu di origine asiatica oppure occidentale, sia studiosi e studiose di ogni parte del mondo, alcuni dei quali di fede buddhista. Ricordiamo qui allora, nell’ambito del buddhismo tibetano, la ven. Jetsunma Tenzin Palmo[7], sostenuta in questo progetto da Sua Santità il Dalai Lama (come è accaduto  alcuni anni or sono al Congresso di Amburgo del 2007[8]) e la ven. Karma Lekshe Tsomo, fondatrice dell’Associazione Sakyadhita[9]. All’interno del buddhismo Theravada, poi, menzioniamo l’impegno solerte che da anni svolge in Thailandia  la ven. bhikkuni  Dhammananda[10], e l’attività accademica – tra le altre – del ven. bhikkhu Analayo, di origine tedesca, autore di numerose pubblicazioni su tale argomento,  e a cui va il merito di aver di recente organizzato il corso settimanale on-line alla Hamburg Universitaat (Germania), dal titolo Perpectives on Bhikkhuni Ordination (aprile – luglio 2014).

 Qual è allora il nocciolo della questione? Per le donne buddhiste l’ordinazione monastica completa è da secoli possibile solamente in Cina, in Corea, in Vietnam, nell’isola di Taiwan e recentemente, dal 1998, anche nello Sri Lanka: non risulta invece  accessibile negli altri Paesi asiatici e nelle altre tradizioni religiose buddhiste qui radicatesi, se non recandosi nei paesi sopracitati e venendo ordinate secondo le regole del  Vinaya della scuola Dharmaguptaka lì presente.

 Il lignaggio del Vinaya, ovvero del corpus di insegnamenti che regola la vita e la condotta di monaci e monache, è attualmente presente in tre diverse tradizioni: quella della  scuola Theravada, presente in Thailandia, Myanmar, Laos, Cambogia e Sri Lanka; quello della scuola dei Mulasarvastivadin, adottato  in Tibet, Nepal, Bhutan e Mongolia e, infine, quello della scuola dei Dharmaguptaka, presente in Cina, Corea, Vietname Taiwan.

A questo proposito è qui opportuno fare menzione di due  considerazioni di carattere storico-culturale. In primo luogo è stato evidenziato come i tre lignaggi sopra menzionati non risulta siano stati originati da uno scisma formale (scr. sanghabheda), ma unicamente per dispersione  geografica dovuta agli accidenti della storia: una scuola buddhista, cioè, che si diffonde e radica in un determinato territorio, verrà ad assumere, com’è nel corso delle cose,  una sua fisionomia peculiare e una progressiva rarefazione di contatti con la tradizione-radice da cui si è originata. Ma anche se le diverse tradizioni sopra citate si vennero poi differenziando tra loro in senso dottrinario, non determinarono tuttavia discordanze così distanti o addirittura inconciliabili tra di loro [11].

In secondo luogo occorre ricordare come sia i Dharmaguptaka che i Mulasarvastivadin discendano dal gruppo delle scuole degli Sthavira (scr.) o Theriya (pali), non diversamente dai Theravadin[12]. In particolare,  i Dharmaguptaka risultano essere dottrinalmente prossimi ai Theravadin e potrebbero essere riguardati come la ‘branca’ nord-occidentale  della stessa scuola; a questo poi si aggiunga che non esiste un Vinaya derivato direttamente dai  Mahasanghika e che dunque tutte e tre le tradizioni del Vinaya attualmente esistenti sarebbero derivate da un’unica scuola originaria, quella degli Sthaviravadin.

E se dunque  l’ordinazione dei bhikkhu può procedere attraverso le tre   tradizioni di ordinazione monastica – Dharmaguptaka, Mulasarvastivada e Theravada – giunte fino a noi, l’ordinazione delle bhikkhuni è invece possibile, come si è detto, nell’unica tradizione ancora esistente, quella dei Dharmaguptaka.

Per le monache-novizie che seguono la tradizione tibetana si prospettano allora oggi due possibilità: o rimanere novizie ‘a vita’, oppure intraprendere il viaggio alla volta di Paesi come Cina, Corea, Vietnam, Taiwan o Sri Lanka e diventare bhikkhuni secondo la tradizione Dharmaguptaka lì presente: una soluzione quest’ultima, ovviamente non praticabile per ragioni di ordine culturale e sociale e soprattutto economico, dalla maggior parte delle monache-novizie che ne avessero oggi  l’aspirazione[13].

Per il ripristino dell’ordinazione delle bhikkhuni nelle diverse scuole del buddhismo tibetano – scuole che seguono tutte il Vinaya della scuola Mulasarvastivada – sono state ipotizzate almeno tre diverse possibilità. La prima sarebbe quella di non ripristinare il sangha delle bhikkhuni, una soluzione diciamo ‘conservatrice’ dell’attuale status quo; la seconda sarebbe quella di introdurre il lignaggio delle bhikkhuni dalla tradizione Dharmaguptaka  a quella Mulasarvastivada; la terza, infine, intenderebbe creare un nuovo lignaggio delle bhikkhuni all’interno della tradizione Mulasarvastivada. In quale modo? Ordinando in una prima fase le bhikkhuni attraverso un sangha composto unicamente da bhikkhu di scuola Mulasarvastivada –e non da bhikkhu e bhikkhuni come recita il Vinaya – e in una seconda fase, dopo cioè che il sangha delle bhikkhuni fosse stato pienamente ripristinato, da un sangha misto di bhikkhu e bhikkhuni.

A tale proposito occorre sottolineare  come le differenze tra l’ordinazione monastica nei due lignaggi, Dharmaguptaka e Mulasarvastivada,  si riferiscano a dettagli minori relativi  al numero delle regole imposto a una siksamana o ‘monaca in probandato’ (6 per i Dharmaguptaka, 12 per i Mulasarvastivadin), al contenuto di alcune di queste, oppure alla formula pronunciata per l’ordinazione completa.

La soluzione forse più semplice e praticabile dal punto di vista dottrinario potrebbe essere la terza tra quelle sopra prospettate,  una soluzione che potrebbe essere ulteriormente supportata dal fatto che,  così come recita il Vinaya,  tutto quanto non sia stato rigettato dal Buddha e che risulti parimenti consono con quanto è permesso (pali kappiya) è da considerasi permesso[14].

 le Maestre di Dharma del sangha femminile tibetano

 Si deve  tuttavia ancora ricordare un carattere peculiare   del sangha religioso femminile di tradizione tibetana e cioè come molte delle Maestre  qui  riconosciute come tali – Maestre le quali hanno largo seguito di discepoli e discepole – non detengano lo status di bhikkhuni. E una identica  situazione la incontriamo anche all’interno del sangha religioso maschile, vale a dire anche qui non tutti i Lama (tib. bLa ma) risultano essere monaci oppure ven. bhikkhu: così, ad esempio, non tutti i Lama di tradizione Kagyü (tib. bKa’ brgyud), hanno fatto voto di celibato (un tratto questo di carattere culturale particolarmente sedimentato nella società tibetana, che può creare  disorientamento tra discepoli e discepole occidentali).

La tradizione religiosa tibetana si presenta in realtà molto più ampia e articolata di una classificazione tra sangha monastico e  sangha laico, dal momento che il sangha dei religiosi tibetani comprende – solo per citarne alcuni – rnal ‘byor pa e rnal ‘byor ma (scr. yogin e yogini), smyon pa e smyon ma (il ‘folle’, la ‘folle’, ‘folli’ in senso mistico, i quali hanno scelto una  ricerca spirituale estrema, spesso di tipo ascetico-eremitica,  al di fuori di norme sociali codificate) e poi gter ston o ‘scopritore di gter ma’ o ‘tesori’, o ancora rinpoche ( tib. rin po che ‘prezioso’) e così via. Le figure sopra elencate sono religiosi, in alcuni casi particolarmente carismatici e con un largo seguito di monaci e laici[15] e considerati al pari in quanto a status a Lama eminenti, i quali tuttavia non detengono lo status  di bhikkhu (tib. dge’ long) oppure  di bhikkhuni ( tib. dge’ long ma).

  In particolare, per quanto riguarda il sangha religioso femminile di tradizione tibetana, incontriamo qui:

 –       donne Lama, le quali non hanno abbracciato i voti monastici, come ad esempio la ven. Lama Tsultrim Allione (Joan Rousmanière Ewing, nata nel 1947 nel Maine, USA), l’autrice di due volumi tradotti in tutto il mondo: Donne di saggezza e Nutri i tuoi demoni [16], fondatrice del centro di Dharma Tara Mandala in Colorado (USA)[17], particolarmente attivo nella divulgazione degli insegnamenti della maestra tibetana Ma gcig Lab sgron (1055-1154 oppure 1055-1149).

–       mogli di Lama, o vedove di Lama eminenti, riconosciute come khandroma (tib. mkha’ ‘gro ma, scr. dakini),   quali la ven. Chagdud Khandro, la consorte di origine occidentale di Chagdud Rinpoche (1930-2002); oppure Khandro Tsering Chödron, la moglie tibetana di Jamyang Khyentse Chö kyi Lo drö (1893-1959), conosciuta come Khyentse Sangyum (‘sacra consorte di Khyentse’).

–       jo mo o ‘venerabili’, le quali conducono una vita monastica di tipo ascetico-eremitico, diffuse ad esempio nel distretto indiano di Kinnaur, nella regione dell’Himachal Pradesh ai confini con la Regione Autonoma Tibetana (TAR)[18].

–       rinpoche (tib. rin po che), come Jetsün Khandro Rinpoche, eminente Maestra del lignaggio di Mindroling (tib. sMin grol gling), il quale vanta una particolare tradizione di Maestre di Dharma[19].

–       ‘das log, le ‘andate-e-tornate’ oppure le ‘ritornanti’, donne cioè che hanno visto ‘l’al di là’ e che sono  poi state in grado di raccontare le loro visioni: e ricordiamo  Delog Dawa Drolma, madre del ven. Chagdud Tulku già prima menzionato, il quale raccolse e pubblicò  la testimonianza dell’esperienza straordinaria vissuta  dalla madre[20].

 

Ma oltre alle figure sopra citate, il sangha religioso femminile di tradizione tibetana può naturalmente contare ven. bhikkhuni – soprattutto di origine occidentale per le ragioni sopra dette – Maestre di Dharma note in tutto il mondo  e tra le quali ricordiamo, oltre alla ven. Jetsun Palmo e alla ven. Karma Lekshe Tsomo prima menzionate, la ven. Pema Chödron  e la ven. Thubten Chödron. La prima, Pema Chodrõn (Deirdre Blomfield-Brown, nata nel 1936 a New York City), discepola di Chögyam Trungpa Rinpoche (tib. Chos rgyam Drung pa, 1939-1987), autrice di numerose pubblicazioni, alcune delle quali tradotte in lingua italiana, ricevette l’ordinazione completa nel 1981 a Hong Kong ed è attualmente residente e insegnante a Gampo Abbey (Nova Scotia, Canada[21]). La seconda, la ven. Tubten Chödron, nata nel 1950 negli Stati Uniti, di tradizione Gelupa (tib. dGe lugs pa), ricevette l’ordinazione completa di bhikkhuni nel 1986 a Taiwan secondo il Dharmaguptakavinaya, ed è attualmente residente a Sravasti Abbey nello stato di Washington (USA)[22].

Conclusioni

 Anche se in Piemonte non  esiste ancora un sangha femminile monastico stabilmente radicato, così come Maestre di Dharma ( donne Lama, Rinpoche, Khandroma e così via ) qui residenti, desidero ricordare che molti semi di Dharma sono stati posti e si stanno ponendo in questo senso: così la ven. Jetsun Palmo è stata invitata negli anni novanta del secolo scorso al Centro Milarepa di Valdellatorre (To) ed è poi tornata in Piemonte pochi anni fa nell’ambito di un seminario organizzato a Torino, dal titolo Cultivating Women’s Spiritual Mastery (Villa Gualino, Torino 26-28 giugno 2009); così la ven. Lama Tsultrim Allione lo scorso autunno (23 ottobre 2013) ha tenuto a Collegno (To) il seminario dal titolo Nutri i tuoi demoni, relativo a un percorso spirituale-terapeutico da lei elaborato sulla base dell’insegnamento tibetano del gcod o ‘recisione [dei demoni]’, una pratica meditativa legata alla maestra tibetana Ma gcig Lab sgron sopra menzionata; così, da ultimo, Dölma Gyari Drawu (Kalimpong 1964), una grande donna tibetana, buddhista, già Ministro degli Interni del Governo Tibetano in Esilio a Dharamsala (India) e dal 2011 Ministro (Kalön, tib. bKa’ blon) del Dipartimento della Famiglia, è stata invitata a Torino lo scorso dicembre (9/12/2013) in occasione della Giornata Mondiale dei Diritti Umani. Nell’ambito di una pregnante conferenza dal titolo “Essere tibetani oggi dentro e fuori il Tibet occupato”, Dölma Gyari Drawu ci ha parlato con grande dignità della tragedia del popolo tibetano e della tragedia delle auto-immolazioni nel fuoco di uomini e donne tibetani, a partire dalla prima avvenuta nel 1998 nella città di Delhi (India)[23].

Anche qui da noi  in Piemonte, dunque, molti semi di Dharma vengono continuamente posti, deposti, dal sangha femminile, religioso e laico,  di tradizione buddhista tibetana.

Il mio augurio è allora quello che il sangha  femminile continui a sviluppare, ancora e ancora, le sue buone risorse di cura e di accoglienza, di saggezza, di amore e di compassione a beneficio del   sangha tutto e di tutti gli esseri senzienti.

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NOTE

[1] In considerazione del carattere divulgativo della presente pubblicazione, si è preferito omettere i segni diacritici del sanscrito e della pali.

[2] Circa questo testo, preservatoci in pali, in frammenti in sanscrito,  nelle versioni tibetana e cinese,  si veda la traduzione italiana a cura di C. Cicuzza (in La Rivelazione del Buddha, vol. I, I testi antichi, a cura di R. Gnoli, Milano, Mondadori,  2001, pp. 1111-1199). Sulle attestazioni dell’esistenza del sangha  femminile  in alcune opere del buddhismo antico cfr. ANALAYO, <<Women’s Renunciation in Early Buddhism. The Four Assemblies and the Foundation of the Order of Nuns>>, in Dignity and Discipline. Reviving Full Ordination for Buddhist Nuns, Wisdom Publications, Boston, 2010, pp. 65-97, alle pp. 65-72

[3] Per l’ulteriore menzione delle quattro assemblee in altri testi in pali e in sanscrito si veda C. GIANOTTI, Donne di Illuminazione. Dakini e Demonesse, Madri divine e Maestre di Dharma, Prefazione di Giuliano Boccali, Ubaldini, Roma 2012,  nota 6, p. 151.

[4] Canone Buddhista, Discosi Lunghi, a cura di E. Frola, UTET, Torino, 1967, rist. 1986, pp. 390-392. L’identico episodio qui riportato compare anche in Udāna, (Detti  ispirati o Versi di esaltazione), in Canone Buddhista. Discosi Brevi, a cura di P. Filippani-Ronconi, UTET, Torino, 1967, rist. 1986, pp. 221-222. Una traduzione italiana più recente si può leggere  in La Rivelazione del Buddha, vol. I, a cura di R. Gnoli, Mondadori,  Milano 2001, pp.1143-1144 (dove però il passo sopra riportato viene sintetizzato).

[5] Il sovrano Aśoka, convertitosi alla fede buddhista, regnò in India tra il 265 e il 238 a.C. (o anche 273-232 a. C.).

[6] C GIANOTTI, (2012), op. cit.,  Ubaldini, Roma 2012, pp. 150 e sg. 

[7] Una biografia della venerabile è stata pubblicata alcuni anni or sono:  V. MACKENZIE Cave in the Snow, Bloomsbury, London 1998, tr. it. La grotta nella neve, Dalai Editore, Milano 2000.

[8] The International Congress on Buddhist Women’s Role in the Sangha: Bhiksuni Vinaya and Ordination Lineages, Amburgo,  18-20 luglio 2007.

[9] www.sakyadhita.org

[10] La ven. bhikkhuni Dhammananda ricevette l’ordinazione completa a Sri Lanka nel 2003,  e fu la prima monaca-novizia thailandese di tradizione Theravada a ricevere upasamapada nel lignaggio Dharmaguptaka.

[11]BHIKKHU SUJATO, Sect and Sectarianism. The Origin of the Three Existing Vinaya Lineages: Theravāda, Dharmaguptaka, and Mūlasarvāstivāda, in Dignity and Discipline. Reviving Full Ordination for Buddhist Nuns, Wisdom Publications, Boston 2010, pp. 29-37.

[12] Nel III sec. a. C. nel concilio di Pataliputra, si ebbe la prima scissione della comunità buddhista, tra gli Sthaviravadin (‘Anziani’)  e i Mahasanghika (‘Grande Assemblea’), scissione che portò,  attraverso fasi successive, a diciotto scuole buddhiste.

 [13] E’ allora facilmente comprensibile come all’interno della tradizione buddhista tibetana, le bhikkhuni siano molto spesso di origine occidentale e non invece asiatica.

[14] Così nel Vinaya dei Theravadin, I: 250, 34 – 251 ,6. Cfr.  KIEFFER-PÜLZ P., <<Presuppositions for a Valid Ordination with Respect to the Restoration of the Bhikhsuni  Ordination in the Mulasarvastivada Tradition>>, in Dignity and Discipline. Reviving Full Ordination for Buddhist Nuns, Wisdom Publications,  Boston, 2010, pp. 217-225, nota 17.

[15]Sulla figura del smyon pa   si veda C. GIANOTTI, La fecondità della mancanza: Milarepa come yogin e come folle, in <<Quaderni Asiatici>>, n. 83, Centro di Cultura Italia-Asia “Guglielmo Scalise”, Milano, settembre 2008, pp. 81-100; sulla figura della smyon ma si veda C. GIANOTTI,  (2012), op. cit., pp. 197-203.

[16] T. ALLIONE, Women of Wisdom, Routledge & Kegan Paul, tr. it. Donne di Saggezza, Ubaldini, Roma 1985; Feeding your Demons, 2008, tr. it. Nutri i tuoi demoni. Risolvere i conflitti interiori con la saggezza del Buddha, Mondadori, Milano 2009.

[17] www.taramandala.org.

[18] Sulle jo mo  nel mondo contemporaneo si veda LAMACCHIA L., Songs and Lives of the Jomo (Nuns) of Kinnaur, Northwest India. Women’s Religious Expression in Tibetan Buddhism, Sri Satguru Publications, Delhi 2008.

[19] www.khandrorinpoche.org

[20]DELOG DAWA DROLMA, Delog: Journey to Realm Beyond Death, Padma Publishing, 1995, tr. it. Delog: donne che viaggiano oltre la morte, Amrita, Torino 2005. Sulle ‘das log tibetane si veda anche Gling Sa Chos Skyid. La Storia di Colei Che Torna Dall’aldilà e Gli Insegnamenti Spirituali in Essa Contenuti, traduzione e commento a cura di Massimo Dusi, Vajra Publications, Kathmandu 2010.

[21] www.pemachodronfoundation.org  

[22] www.thubtenchodron.org

[23] Sul fenomeno delle auto-immolazioni nel fuoco dei tibetani si veda C. GIANOTTI, Il fuoco dimenticato. Le auto-immolazioni dei tibetani, in <<Quaderni Asiatici>>, n.105, Centro di Cultura Italia-Asia “Guglielmo Scalise”, Milano, marzo 2014, pp. 29-52. Per un aggiornamento  sulle continue tragiche auto-immolazione si si rimanda ai siti seguenti: www.asianews.it; www.savetibet.org; www.aljazeera.com.   

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